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martedì 28 giugno 2016

L'ARCANO DI PASOLINI di Jack Hirschman (seconda parte)











Avrebbero potuto essere anche qui,
in un luogo inesistente,
in questo luogo inesistente
che conosco così bene, questa New York di nulla facente,
facendo nulla, o, anche,
per tutti gli opportunisti, nulla da fare
nei luoghi che riattraverso
solitario, vecchio e
infelice come nella mia adolescenza
per le strade e giù negli scantinati dei club,
quella vita di muscoli rivoltata
come un guanto
di pustole e orecchie sporche,
ma adesso immensamente più solo
dacchè la produzione di cose è divenuta
una consunzione che tutto consuma, cosicchè ora
il nudo segno del dollaro è stampato
su tutto e su tutti
splendendo d'oscurità dagli abissi dell'avidità
dalla quale lui ci mise in guardia con innocenza indifesa
(come tutti da questa parte) paradossalmente indecente,
lui che aveva persino "imparato a fare l'amore senza amore
e senza rimorso"
-quei due uccelli neri del cervello
che eternamente predano sul suo corpo laggiù,
dall'alto della cima del tetto.
La paura è veramente qui adesso, infinita in occhi
che si distolgono. E pressata nelle orecchie. "Mi stanno
torturando in quell'edificio la ggiù e nessuno
sente le mie urla". Un mendicante suonatore di chitarra
di nome Pastrami sulla banchina della stazione dice
che hanno spazzato via tutti i senzatetto. Sul treno
occhi rivolti in basso, leggono notizie morte, mani stringono giornali
mentre un uomo sta in piedi con una vergogna impressionante, mendicando.

Tuttavia malgrado questo mucchio di gusci sordi e conchiglie,
di suoni e immagini, tazze vuote,
la proiezione si apre lentamente, lo stile
avanza le sue richiete, la fatica e la linfa vitale dell'emozione
defluiscono; sono qui, nel centro città. Nona Avenue
nella tenebra delle tenebre, il giro della puttana, 
lo stesso palpabile pericolo e corruzione.

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